Questo preoccupante fenomeno, purtroppo in crescita, proviene per lo più da due concause: da un lato, non esistono meccanismi idonei alla prevenzione degli abusi, infatti in molti nidi e materne non vi sono controlli sulla tenuta emotiva dei docenti. Dall’altro lato, spesso si verifica una vera e propria omessa vigilanza ad opera dei dirigenti scolastici o delle cooperative e, nei casi peggiori, un vero e proprio fenomeno di favoreggiamento da parte di chi è rimasto inerte pur essendo a conoscenza dei gravi episodi di maltrattamento cui erano sottoposti i minori.
Allora chi denuncia? I genitori, le ausiliarie, le stagiste. Molto raramente, invece, la denuncia proviene dalle altre maestre o dai presidi o dirigenti poiché i colleghi o il personale tendono a preservare il buon nome della scuola.
Negli ultimi fatti di cronaca si assiste non solo ad una forte attenzione per i/le responsabili materiali dei maltrattamenti ma anche per tutti quei soggetti che avrebbero dovuto vigilare nonché per quelli che, pur sapendo, non sono intervenuti.
Per esempio, con sentenza della Cassazione civile n. 17049/11, la società cooperativa per cui lavoravano le educatrici, condannate per maltrattamenti verso minori in un asilo, è stata ritenuta responsabile civile degli illeciti da loro commessi: la Cassazione non ha avuto dubbi sul fatto che la cooperativa fosse civilmente responsabile per i fatti commessi dalle imputate e, in quanto tale, fosse tenuta al risarcimento dei danni in solido con queste ultime. Le responsabilità evocate a carico della cooperativa riguardano sia la culpa in vigilando sia la culpa in eligendo, giacché la scelta era ricaduta su educatrici inesperte e non adeguatamente istruite.
E, ancora, con sentenza n. 38060 del 2014, la Cassazione Penale ha confermato la misura degli arresti domiciliari nei confronti della direttrice di una scuola per il reato di maltrattamenti continuati ai danni di alunni della scuola, ove l’indagata svolgeva le proprie funzioni di direttrice, allorché era emerso dall’istruttoria che la stessa aveva omesso di esercitare i poteri di vigilanza, controllo, segnalazione e denuncia, non impedendo così i maltrattamenti posti in essere da altra insegnante.
Un ulteriore caso riguarda un asilo in zona Maciachini-Milano: “Di questa roba è meglio non dire niente”. Si era così creata una ramificata catena di silenzi, superficialità e tentativi di minimizzare, intorno all’insegnante di una scuola materna in zona Maciachini che sarà processata per maltrattamenti, lesioni e abuso dei mezzi di correzione contro sette bambini di 4 e 5 anni. Le indagini sulla maestra hanno così avuto uno sviluppo parallelo, che è giunto ad individuare la responsabile di quei tentativi di “insabbiamento”: l’ex preside dell’asilo è invero indagata per favoreggiamento.
A Conselice, Ravenna, 2014, Alba Alberti, che all’asilo era referente diretta del Comune di Conselice, non ha avuto nulla a che fare con i maltrattamenti. Tuttavia è accusata di favoreggiamento: le è contestato di aver negato, sia con il Comune, sia con la polizia giudiziaria, di essere stata al corrente dei maltrattamenti quando invece, per l’accusa, ne era bene a conoscenza.
Viene, dunque, riconosciuta una responsabilità anche per tutti coloro che hanno fornito un “aiuto” alla commissione del delitto. Questa condotta coadiuvante comprende non solo le condotte finalizzate alla creazione di barriere ostative alle indagini ma anche quelle di natura puramente omissiva, dunque comportamenti quali il silenzio, la reticenza.
Ne consegue che, nella maggior parte dei casi, indagati e condannati, non sono solo le educatrici ma anche le presidi, le dirigenti e tutti coloro che gravitavano intorno al centro educativo ed abbiano assistito in modo silente o, comunque, fossero a conoscenza, dei ripetuti atti di violenza fisica e/o psichica ai danni degli infanti.
E la cooperativa cui spesso il Comune demanda la gestione degli asili? Per unanime giurisprudenza deve senz’altro ritenersi civilmente responsabile per i fatti commessi dalle educatrici e, in quanto tale, tenuta al risarcimento dei danni in solido con queste ultime.
Diversa è invece la posizione del Comune che ha concesso in appalto il servizio: è da escludere una sua responsabilità sia per quanto riguarda la culpa in vigilando (aver omesso le periodiche verifiche della conformità dell'appalto), sia per quanto riguarda la culpa in eligendo (per aver verificato sommariamente le credenziali dell'appaltatore). Infatti, di regola, è l'appaltatore che deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati da terzi dall'esecuzione dell'opera e non il committente; pertanto, il controllo sull'esecuzione dell'appalto non è fonte, per quest'ultimo, di responsabilità per l'illecito dell'appaltatore e dei suoi dipendenti. Deve semmai verificarsi, se a carico del Comune possa ravvisarsi la violazione della regola di cautela ex art. 2043 c.c., in forza della quale all'ente pubblico incombe pur sempre un dovere di controllo di origine non contrattuale al fine di evitare che dall'opera derivino lesioni del principio del neminen ledere, idonee, eventualmente, a corresponsabilizzare il committente in base al precetto del richiamato art. 2043 c.c.