In particolare, alcuni gruppi o pagine che oggi troviamo sul social network più famoso, potrebbero ben essere perseguiti per istigazione a delinquere o apologia di reato, previsti e puniti, rispettivamente, dall’art. 414, comma 1 e 3 c.p.
Durante la recente campagna elettorale, si potevano visualizzare moltissime pagine e/o gruppi Facebook c.d. “antifascisti”, nei quali, spesso, le condotte violente, aggressive e spregianti dell’ordine pubblico, venivano mitizzate e, addirittura, stimolate. Tantissime di queste pagine e gruppi, non solo sottolineavano la irreprensibilità di tali cortei e giustificavano l’uso della violenza ma, addirittura, invitavano a ripetere gli episodi violenti e, in alcuni casi, ad usare anche una maggiore aggressività.
E’ applicabile, allora, l’art. 414 c.p. a questi casi?
La norma menzionata punisce la condotta d’istigazione (comma 1), consistente in qualsiasi fatto diretto a suscitare e/o rafforzare l’altrui proposito criminoso, nonché la condotta di apologia (comma 3), consistente nell’azione diretta a provocare l’esecuzione di delitti e la violazione di norme penali, mediante la rievocazione pubblica di un episodio criminoso.
La Corte di cassazione richiede, ai fini della sussistenza dell’elemento materiale del reato di istigazione a delinquere, la propalazione pubblica di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose, in modo tale da indurre altri alla commissione di fatti analoghi, tenuto conto del contesto spazio-temporale, economico-sociale e della qualità dei destinatari del messaggio (Cass., Sez. I, sent. 7842/2015).
Pertanto, ciò che conta è la sussistenza di una concreta forza suggestiva o persuasiva della condotta istigatrice idonea ad incidere sull’altrui sfera volitiva.
Per quanto riguarda la configurazione del reato di apologia, invece, l’elemento oggettivo richiesto dall’art. 414, comma 3 c.p. s’identifica nella rievocazione pubblica di un episodio criminoso diretta e idonea a provocare la violazione delle norme penali, nel senso che “l’azione deve avere la concreta capacità di provocare l’immediata esecuzione di delitti o, quanto meno, la probabilità che essi vengano commessi in un futuro più o meno prossimo” (Cass., Sez. I, sent. 11578/1997).
Ai fini dell’integrazione del delitto, secondo la Cassazione, è necessaria l’esaltazione di un’attività violatrice delle norme penali mediante forme di manifestazione del giudizio che, per la loro forza di suggestione o persuasione, siano idonei a far sorgere il pericolo di altri reati del genere di quello oggetto dell’apologia, così incidendo su specifiche situazioni dalle quali derivi un pericolo diretto ed immediato per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Analizzando lo stile particolarmente incisivo e violento utilizzato in queste pagine/gruppi e rivolto, per lo più, a giovani ragazzi, adolescenti e soggetti che, spesso, già aderiscono alle iniziative da questi promossi, si può legittimamente affermare che sono in grado di suscitare interesse e condivisione nella diffusione del modus operandi dei collettivi che hanno organizzato e organizzano tutt’ora questi cortei. In altre parole, esaltare un fatto di reato, subito dopo che è stato commesso e, tra l’altro, durante una campagna elettorale particolarmente accesa in cui i cortei violenti erano all’ordine del giorno, sicuramente ha una forza di suggestione tale da far sorgere il pericolo di commissione di altri reati del genere di quello oggetto dell’apologia/istigazione. Se poi, i destinatari di tali messaggi sono per lo più adolescenti o, comunque, giovani, la forza persuasiva è certamente aumentata.
Pertanto, anche alla luce della piena equiparazione tra sito web e stampa riconosciuta dalle recenti S.U., secondo cui anche la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa”, la “rievocazione pubblica” dell’episodio criminoso richiesto dal delitto di apologia è perfettamente integrata dalle modalità virtuali di diffusione telematica.